13 marzo 2012

Vanity Fair

Mi domando quanti siano, tra tutti gli abbonati a Vanity Fair, quelli con un'idea anche minima di chi fosse William Makepeace Thackeray; mi chiedo al contempo se avrebbero sottoscritto ugualmente un abbonamento qualora la rivista fosse stata chiamata con l'equivalente italiano, titolo dall'aria francamente spocchiosa per una rivista. Senza contare poi che Thackeray prendeva bellamente per i fondelli proprio quelli che la rivista invece rappresenta e raccoglie.
Buffa ironia. E' che, per quanto ci si sforzi di voler circondare il prossimo di citazioni letterarie, lo sforzo è vano e deprimente.
Basti pensare a tutti quelli che credono che, del film "Dracula di Bram Stoker", il signor Stoker sia il regista.
Sarebbe semplice, basterebbe applicarsi un minimo; voglio essere generoso: basterebbe informarsi. Mica per nulla, per poter fare delle conversazioni un minimo decenti.
Io mica l'ho letto, Vanity Fair.
No, cristosànto, non l'ultimo numero della rivista, il romanzo.
Vabbè, ci rinuncio.

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