7 ottobre 2013

Siete delle merde.

In questi giorni circola di nuovo un presunto "Rapporto dell'ispettorato per l'immigrazione USA dell'ottobre 1912" in cui si descrivono gli immigrati italiani allo stesso modo con cui oggi molti dei nostri concittadini descriverebbero gli immigrati che dal medio oriente e dal nordafrica tentano di raggiungere il nostro paese per sopravvivere a guerre e miseria. Certo, il testo fa riflettere. Io l'ho sentito citare per la prima volta un anno fa da Simone Cristicchi in un concerto come introduzione alla canzone "Cigarettes"; l'ha citata Saviano da Fazio, la si legge e sente un po' ovunque ma a quanto pare si tratta di un testo riportato già nel 2009 da un articolo del giornalista Andrea Sarubbi e ripreso poi da RaiNews24. Poi il testo ha iniziato a circolare per email e sui social network. Le parole sono state spesso cambiate, i brani sezionati anche se la sostanza rimane la stessa: metterci di fronte alla cruda analogia e farci sentire delle merde.
Intendiamoci: noi siamo delle merde. Ci mancherebbe. Non è questo che critico. E' che a quanto pare ognuno propone una fonte come prova delle propria attendibilità ma la fonte non è mai reperibile. Anche Paolo Attivissimo, noto cacciatore di bufale, ha postato sul sito del CICAP un'attenta indagine per cercare di stabilire se non la veridicità del testo quantomeno l'attendibilità della sua sostanza per giungere alla conclusione che la fonte non esiste o perlomeno risulta irreperibile e quindi nessuno si spiega come possa un giornalista averla letta e tradotta.
Magari gli americani a inizio secolo la pensavano davvero così; magari ecco, le parole non saranno state proprio quelle ma il sentimento sì.
Ma magari, anche tra gli americani del 1912 (o 1919, non s'è ancora capito), ce n'era una parte che la pensava così, dei veri stronzi direi, e un'altra in grado di discernere la differenza tra cittadini di una qualche nazionalità e - più semplicemente - esseri umani.
Come del resto la differenza c'è anche da noi.
Resta il fatto che finché non si reperisce la fonte autentica si tratta di una mistificazione e a me fa incazzare non poco. Soprattutto quello che mi fa incazzare è veder fotocopiare questo testo all'infinito sui social network, ribadire, replicare, riproporre un testo che fa sentire la coscienza di molti un po' più a posto per tornare un attimo dopo a sbattersene le palle.
Come per rinnegare d'aver pensato, riga dopo riga, che quel testo si riferisse ai magrebini o agli slavi, fino alla sorpresa finale.
Ecco.
Non è che con questo copia-e-incolla espierete i vostri peccati. Questo concetto radicato nella nostra cultura e tutto cattolico di confessione-pentimento-espiazione che cancella tutti i peccati con due paroline rivolte alla stratosfera purtroppo da secoli rende tutto lecito. Rubi la marmellata, poi ti dispiace e chiedi perdono. Il giorno dopo rubi di nuovo la marmellata e così via.
No.
Se avete pensato male siete delle merde. Non c'è espiazione che tenga. Oppure siete solo vittime di un'abile circuizione studiata a tavolino per vedere quanto sia facile pilotare l'opinione o anche solo per stimare la quantità di bischeri in giro che prendono per buona qualsiasi citazione a effetto che gli viene servita su un allettante piatto di portata.
Per favore, leggete di più e fotocopiate di meno.
Per esempio prima di condividere questo articolo di David Orban di oltre quattro anni fa in cui si chiarisce che non solo non esisteva nessun "Ispettorato per l'Immigrazione" negli USA del 1912 ma che organismi equivalenti, che hanno prodotto ben quarantuno volumi di rapporti non hanno mai redatto quel testo.
Certo, vale la pena di condurre una ricerca approfondita anche nell'Archivio Nazionale ma se si trattava di una fonte tanto facile da reperire com'è che nessuno si ricorda quale fosse e dove reperirla?
Ma soprattutto pensate: chi ha costruito - perché ne sono convinto che sia costruito - quel testo per sollevare in voi l'indignazione e spingervi a influenzare l'opinione pubblica diffondendolo, forse sensibilizzando il paese di fronte al problema del razzismo, domani potrebbe scrivere due righe per sobillare in voi l'esatto contrario il nazionalismo, l'orgoglio patriottico, il senso di superiorità. Oppure la legittimità del mercato selvaggio, la bontà di certi trattamenti su frutta e verdura, la salubrità del nucleare, l'efficacia di determinate cure mediche e così via.
Fate come volete ma ricordatevi: se vi siete bevuti questa potete bervi qualsiasi altra cosa.
E basta con le fotocopie, cazzo.

15 maggio 2013

Merda

A tutti quelli che tentano di far leva sui miei sentimenti e dubitano che mangerei carne se fossi costratto a uccidere gli animali che mangio chiederei piuttosto: "ma voi, esattamente, quanta merda maneggiate?" Io diversi secchi al giorno.
Fatevene una ragione. Nella società deleghiamo tante di quelle cose che porsi una domanda come quella è davvero stupido.
Voi, per esempio, guidereste un'auto se foste costretti a costruirvela? E la pasta ve la trafilate da soli? E il 99 per cento di quello che fate, lo fareste se foste costretti a farlo da soli?
E' un quesito idiota.
Deleghiamo tutto quello per cui non abbiamo competenza specifica, perché possiamo dedicarci appieno a fare poco ma farlo al meglio.
E' così che funziona la società.
Ma voi tentate di trasporre la domanda sul piano etico, dei sentimenti e della pietà.
E allora la domanda che vi faccio è: "voi, sì voi, che impiegate il vostro tempo per rompermi i coglioni e cercare di farmi venire i sensi di colpa, mentre scrivete le vostre cazzate sull'iPhone o sul vostro Mac nuovo fiammante, o sul vostro cazzo di iPad, ci pensate anche un solo secondo a quei poveracci? Quelle persone, dico, che lavorano in posti da incubo in fabbriche del sud-est asiatico, sotto la soglia minima della decenza salariale, con una sicurezza sul lavoro inesistente, che a volte si buttano dal tetto perché non riescono a stare dietro ai ritmi produttivi solo perché un'azienda dal fatturato interstellare possa vendervi il vostro tanto amato gadget tecnologico del cazzo?"

Fareste una figura migliore stando zitti.
E magari mangiando una braciolina. Ogni tanto, mica tutti i giorni.

15 marzo 2013

L'esperimento della goccia di pece

John Mainstone, attuale maintainer dell'esperimento.
Photograph courtesy of The University of Queensland.
Author: John Mainstone.
Released under GFDL - GNU Free Documentation License v 1.2
 

C'è un nutrito gruppo di individui, su questo buffo pianeta di questa insignificante galassia, che si merita la mia stima incondizionata e l'apprezzamento più grande per ciò che fa, immagina, escogita e verifica. In questo gruppo annoveriamo soggetti - in vita o ahimé trapassati - appartenenti ai più disparati rami dello scibile umano e delle forme d'espressione artistica. C'è Arturo Sandoval, c'è Douglas Noel Adams, ci sono Euclide, Ernesto Schick, Robert Doisneau, Wil Freeborn, Raymond Queneau, Larry Wall e un sacco di altri nomi che ora evito di elencare per non costringere i più curiosi di voi a cercarli per sapere chi siano e cos'abbiano fatto di tanto mirabile ma credetemi, ce n'è un bel numero.
Da oggi, comunque, il numero è aumentato di un'unità grazie all'ingresso di Thomas Parnell, l'ideatore dell'Esperimento della goccia di pece.
Pare infatti che questo assoluto genio della fisica abbia avuto nel lontano 1927 l'intuizione per un esperimento che avrebbe rivoluzionato, se non i dettami della fisica moderna, quantomeno l'ordine apparentemente sensato delle mie sinapsi, inducendomi istantaneamente a venerarlo.
Parnell nel '27 ha riempito di pece un imbuto ed ha atteso pazientemente tre anni perché questa si depositasse docilmente nel collo, poi ha aperto il fondo dell'imbuto ed ha aspettato che questa gocciolasse in un bicchiere.
La prima goccia è caduta.
Dopo quasi nove anni.
Da allora sono cadute in tutto otto gocce, con simile cadenza, fino al 28 novembre 2000 giorno in cui è caduta appunto l'ottava goccia.
Quest'ultima ha impiegato circa 12,3 anni a scendere nel bicchiere e capirete ormai dov'è che voglio andare a parare.
I tempi sono maturi.
Sarà questione di attimi? Di mesi? Ancora di anni? Quel che è certo è che ora, conosciuta la scansione temporale dell'esperimento e verificatane l'ineluttabilità, a fare il gioco è la trepidazione.
Lo sento, mi sembra di vederla oscillare, occhieggiare sorniona.
Cado.
No, scherzavo.
E invece cado.
Maledetta goccia, lo so che stai per cadere.
Se cadesse davvero dovremmo dare una festa, ubriacarci tutti alla memoria del professor Parnell e in onore di John Mainstone, attuale maintainer dell'esperimento. Già, perché dal 1927 a oggi pare che nessuno, dico NESSUNO abbia mai visto una delle otto gocce cadere, tanto che è stata installata perfino una webcam al Livello 2 del Parnell Building della Scuola di Matematica e Fisica presso il campus Santa Lucia dell'università del Queensland, puntata sull'imbuto in modo che almeno uno di questi avvenimenti venga registrato. Tuttavia la caduta dell'ultima goccia non è stata ripresa né registrata per un guasto tecnico.
Inutile dire che quest'esperimento ha permesso di determinare agilmente e come si conviene a una Scienza che sta al passo con i mutamenti della società, il grado di viscosità della pece, circa 230 miliardi di volte quello dell'acqua, oltre a illustrare quello che Parnell voleva far capire ai propri studenti: certi solidi non sono solidi ma solo fluidi altissimamente viscosi.
Ma ora basta scrivere, bisogna che guardi quella dannata webcam.
Potrei essere il primo.